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Interventi di chirurgia cerebrale
Interventi di drenaggio di ematomi intracranici
Che tipi di intervento esistono per asportare un ematoma intracranico?
Un ematoma intracranico, o nella testa, può essere di varia natura e gravità. Oltre alla sua grandezza e al tempismo più o meno repentino con il quale si forma, è importante la sede del sanguinamento. Distinguiamo i tre tipi principali di ematomi intracranici:
- L’ematoma epidurale
- L’ematoma subdurale
- L’ematoma intracerebrale o intraparenchimale
I primi due hanno in comune il fatto di non essere all’interno del cervello, ma si formano fra il cervello e la scatola cranica, e possono quindi danneggiare il cervello e le sue funzioni attraverso un meccanismo di compressione esterna.
Come già visto per il midollo spinale, anche il cervello ha un suo involucro esterno – la dura madre – e in base alla localizzazione rispetto a questa membrana viene denominato l’ematoma che si forma nel cranio, ovvero epidurale se fra la dura madre e il cranio, e subdurale se fra la dura madre e il cervello. In genere, entrambi sono conseguenze di fatti traumatici, con l’epidurale che si accompagna in genere a un frattura del cranio.
Vanno operati con la cosiddetta “craniotomia”, ovvero esponendo il cranio dopo apposita incisione e ribaltamento del cuoio capelluto, e tagliando poi nel cranio un’apertura più o meno grande per accedere alla cavità intracranica. Alla fine della procedura, una volta rimosso l’ematoma, l’opercolo osseo, o sportello, viene riposizionato mediante delle piccole placche e viti e il cranio viene così richiuso. Talvolta, principalmente nel caso di traumatismi o ischemie gravi, il cervello tende a rigonfiarsi e il difetto osseo nel cranio non viene richiuso con l’opercolo ma si richiude solo il cuoio capelluto sopra l’apertura. Ciò viene fatto per dare al cervello gonfio la possibilità di avere più spazio ed essere meno compresso dentro la scatola cranica. Questa procedura si chiama “Craniotomia decompressiva”.
Una volta passata la fase di gonfiore si può, poi, in un secondo momento, richiudere il difetto con l’osso stesso del paziente che era stato congelato per la conservazione, oppure si posiziona una protesi plastica o in titanio.
Un altro tipo di intervento per l’ematoma, principalmente il sottodurale cronico, è la sua evacuazione tramite un semplice foro di trapano nella parete cranica, in corrispondenza del maggior spessore dell’ematoma sottostante. Questa procedura, poco invasiva e spesso eseguita in anestesia locale, viene definita “craniectomia” o semplicemente “foro di trapano” e viene utilizzato nel drenaggio dell’ematoma sottodurale cronico, un ematoma che si forma in genere gradualmente e lentamente nel tempo ed è frequente nella popolazione anziana.
L’ematoma intraparenchimale, a differenza dei due precedenti, si forma all’interno del tessuto cerebrale, e viene definito anche intracerebrale. Il danno che crea dipende dal punto esatto nel cervello in cui insorge e vi possono essere, ad esempio, anche voluminosi ematomi che causano relativamente pochi problemi. La causa di insorgenza è solitamente per un picco di ipertensione, la rottura di un vaso malformato, un tumore che sanguina o, anche in questo caso, è possibile una natura traumatica. Quando è operabile, questo ematoma viene quasi sempre evacuato attraverso una craniotomia, ovvero la creazione di un’apertura più o meno grande nel cranio con l’ausilio di uno sportello, che alla fine della procedura viene riposto.
interventi di drenaggio liquorale per il trattamento dell'idrocefalo
Che tipi di intervento di drenaggio liquorale esistono?
Il liquor è un liquido incolore e trasparente che viene prodotto nelle cavità del cervello e circola fra le cavità e l’esterno del cervello e del midollo spinale. Viene prodotto in continuazione e anche riassorbito alla stessa velocità in modo che la sua quantità è sempre più o meno costante.
In alcuni casi, a seguito per esempio di un trauma, di un’infezione, di un tumore o altro, il liquor si accumula e crea pressione all’interno nella scatola cranica e/o del canale spinale portando cosi a un rigonfiamento delle cavità ventricolari ed un aumento di pressione nel cranio. Si crea cosi il quadro di idrocefalo . In questi casi il liquor in eccesso va rimosso – “derivato”, secondo la terminologia tecnica –.
Le modalità di derivazione del liquor sono sostanzialmente due: la sua derivazione, o il suo drenaggio, verso l’esterno con la raccolta in un sistema esterno, oppure il suo drenaggio al di fuori dalla scatola cranica e verso una zona di raccolta all’interno del corpo, come la cavità addominale, la cavità pleurica o all’interno di una vena.
Nella prima modalità, la derivazione esterna, che viene adottata generalmente o in caso di urgenza per un problema passeggero, viene inserito in una cavità del cervello un piccolo tubo di drenaggio del diametro di qualche millimetro. Questo tubicino, che incontra la cavità ventricolare generalmente a una profondità di 5- 6 cm, viene poi fatto uscire dal cuoio capelluto del paziente e collegato al sistema di raccolta esterno. Si continua così a drenare il liquor in eccesso finché la situazione si normalizza, oppure finché si può procedere all’internalizzazione del sistema di derivazione e quindi il suo drenaggio verso la cavità interna del corpo, generalmente quella addominale: in questo caso si parla di derivazione ventricolo-peritoneale. Questi impianti sono dotati di una valvola e se non vanno incontro a ostruzione, poi infezione, possono rimanere funzionanti anche per anni e consentire al paziente di condurre una vita del tutto normale.
Craniotomia per l'asportazione di tumori intracranici
Come si operano i tumori del cervello?
Il capitolo dei tumori cerebrali e intracranici, così come di tutta la neuro-oncologia, è molto vasto. Benché esistano anche in questo campo tumori più o meno aggressivi o maligni e tumori chiaramente benigni, si tende a definire, in prima istanza, qualsiasi tumore all’interno della scatola cranica come maligno in termini di ripercussioni sul cervello. La malignità in questo caso non è legata al tipo di tumore nello specifico ma al fatto che, trovandosi all’interno di un compartimento chiuso, qualsiasi massa che si espanda mette a rischio la funzione cerebrale per via della progressiva compressione.
Per fortuna, però, al giorno d’oggi la tecnica chirurgica ha fatto molti progressi e asportare un tumore cerebrale di natura benigna può quasi sempre essere fatto senza causare particolari problemi al paziente.
Il concetto base della chirurgia tumorale prevede, come nel caso degli ematomi e di qualsiasi accesso all’interno del compartimento cranico, la craniotomia.
Si intende con questo termine la procedura che prevede come passaggi fondamentali un’incisione della cute o retta o arciforme in modo tale che divaricando i margini cutanei dell’incisione, si espone una superficie più o meno ampia di osso cranico. Vengono, quindi, praticati uno o più fori nel tavolato osseo cranico, e con una fresa tagliente ad alta velocità si collegano i fori o si pratica comunque un taglio più o meno circolare per creare un’apertura nel cranio. Il pezzo di tavolato cranico così tagliato viene comunemente chiamato “sportello” osseo o lembo osseo e viene solitamente posto per la durata della procedura in una soluzione antibiotica.
Seguono, consequenzialmente, la fase di individuazione del tumore e quindi la fase centrale della sua asportazione. Quest’ultima può essere praticata con diversi strumenti, fra i quali una semplice cannula di aspirazione e delle pinze, fino a un aspiratore ultrasonico che frantuma il tessuto tumorale e lo aspira o la vaporizzazione ed escissione tramite sonde a luce laser. Vengono, inoltre, impiegate quasi sempre delle pinze a corrente elettrica bipolare, che permettono di cauterizzare i vasi sanguigni che si incontrano durante la procedura, controllando così il sanguinamento.
Data la delicatezza delle manovre chirurgiche necessaria per togliere una lesione tumorale da una struttura tanto importante e fragile come il cervello e i nervi, questa chirurgica viene quasi sempre eseguita con il microscopio operatorio, per garantire le migliori visibilità e precisione possibili.
Viene sviluppata, inoltre, sempre di più anche la chirurgia endoscopica dei tumori cerebrali, che consente di ridurre ulteriormente l’invasività della procedura, permettendo di raggiungere la lesione tumorale e asportarla attraverso incisioni e accessi minimi –“keyhole surgery”/“chirurgia attraverso il buco della serratura”.
Si può davvero togliere un tumore dal cervello mentre il paziente è sveglio?
Non solo si può, ma per determinati tumori e in determinate circostanze è fondamentale condurre l’intervento con il paziente sveglio.
Dopo le considerazioni tecniche generali è utile considerare a grandi linee la chirurgia con il paziente sveglio, o “awake” in inglese.
Questa tecnica chirurgica si avvale del fatto che il tessuto cerebrale non è di per sé sensibile al dolore. Il tessuto cerebrale, che è biancastro e ha una consistenza gelatinosa, benché possa elaborare e ricevere stimoli dolorosi, non è dotato di recettori per il dolore. Per questo motivo la sua manipolazione diretta non causa dolore al paziente. Ciò è fondamentale perchè permette all’équipe operatoria ed al chirurgo di dialogare con il paziente e fargli svolgere tutta una serie di compiti proprio mentre si manipola il tessuto cerebrale e si procede con la rimozione del tumore. Questa procedura prevede prima l’esposizione del cervello mediante la craniotomia, come sopra descritta, con l’utilizzo o di un’anestesia locale e il paziente già sveglio dall’inizio, oppure con il paziente addormentato e che viene poi svegliato quando il cervello è esposto. Il paziente ha la testa bloccata in un reggitesta fissato sul cranio per mantenere il campo operatorio perfettamente fermo e riceve tutte le istruzioni dal personale della sala operatoria. In genere si discute approfonditamente con il paziente su quali saranno i passaggi e le condizioni incontrate una volta che sarà svegliato, per garantirgli il massimo di tranquillità.
Una volta che pertanto il cervello è esposto si esegue la “mappatura” della corteccia cerebrale. In questa fase si stimola, mediante un elettrodo a penna, la corteccia cerebrale per identificare i punti e le aree dove sono rappresentate le funzioni principali di linguaggio e movimento, oltre a funzioni cognitive più complesse, e si definisce così un ingresso nell’interno del cervello in una zona dove non si riscontrano risposte alla stimolazione. Approfondendosi poi all’interno del cervello e procedendo poi con la rimozione si continua a stimolare saltuariamente il tessuto cerebrale per accertarsi di non interferire con circuiti o fasci nervosi che permettono attività cognitive importanti. Non tutta la massa cerebrale, infatti, ha una funzione di generazione, processazione e trasporto di attività nervosa e queste aree vengono identificate per creare una specie di “corridoi” sicuri per muoversi all’interno del cervello stesso. Il principio della stimolazione mediante l’elettrodo a penna, invece, si basa sul fatto che l’attività cerebrale è elettrica, cioè si basa sulla generazione e trasmissione di impulsi elettrici, e laddove vi sono circuiti o punti di generazione di questa attività, la stimolazione mediante l’elettrodo da parte del chirurgo può interferire con quest’attività e temporaneamente bloccarla. Ciò è necessario per capire e individuare le aree di attività ed evitare di invaderle o estendere la rimozione di tessuto nel loro contesto.
La chirurgia da sveglio è allo stato la chirurgia migliore per la rimozione di tumori in aree del cervello definite “eloquenti”, ovvero ricche di attività nervosa importante. Questa tecnica, inoltre, è utile per estendere nel modo più ampio possibile la rimozione di un tumore maligno che magari non si trova direttamente dentro o accanto a un’area importante, ma la cui rimozione deve essere la più ampia possibile per migliorare la durata della sopravvivenza del paziente.
Chirurgia per la riparazione di malformazioni vascolari cerebrali
Le principali malformazioni vascolari cerebrali sono tre: gli aneurismi, le malformazioni artero-venose e i cavernomi. Sono tutte e tre caratterizzate da un’alterazione strutturale più o meno estesa dei vasi sanguigni all’interno del cranio e/o del cervello. Sono generalmente di natura genetica e/o presenti dalla nascita, e comportano un certo rischio di sanguinamento. Possono essere operate attraverso una riparazione diretta tramite una craniotomia o con un accesso endovascolare, raggiungendo il danno vascolare dall’interno del vaso, ovvero con un catetere fatto avanzare fino al punto interessato e la riparazione eseguita impiantando in quel punto dei dispositivi che escludono la malformazione dal circolo normale, eliminando il rischio di rottura e sanguinamento.
Vediamo qualche considerazione breve e generale per ognuna delle tre categorie.
Gli aneurismi cerebrali sono delle vere e proprie bolle ripiene di sangue e si formano per un cedimento della parete di un vaso in un punto, e quindi la creazione di una estroflessione e dilatazione del vaso in questo punto, con la conseguente formazione della bolla. Con la costante pressione sanguigna e le pulsazioni del sangue all’interno del vaso, la bolla può crescere e l’estroflessione della parete vasale diventare così sempre più sottile, fino a portare a rottura della sua parete. In questo caso si forma la cosiddetta emorragia subaracnoidea, associata o meno a un’emorragia o sanguinamento all’interno del cervello. Per la loro natura e sede, gli aneurismi possono dare luogo a sanguinamenti molto diffusi e gravi, e quando si verificano portano in quasi la metà dei casi direttamente a un grave danno cerebrale irreversibile o alla morte. Laddove ciò non avviene, si deve procedere alla riparazione della rottura della malformazione o mediante craniotomia e riparazione del vaso dall’esterno o con un approccio endovascolare tramite un cateterismo arterioso con una procedura angiografica.
La chirurgia consiste nel raggiungimento e isolamento della malformazione e l’esclusione della bolla vascolare andata incontro a rottura, tramite delle clips metalliche. In questo modo, la bolla aneurismatica viene esclusa dal vaso dal quale è nata, ripristinando pertanto una conformazione del vaso normale ed escludendo il rischio di nuovo sanguinamento.
Nella procedura endovascolare, si introduce un catetere in una grande arteria, solitamente l’arteria femorale al livello dell’inguine, e si fa risalire questo catetere fino al cervello e quindi alla malformazione, approcciandola dal suo interno sotto controllo radiologico. Una volta che il catetere è giunto alla bolla formatasi nella parte del vaso, si fanno avanzare attraverso il catetere dei piccoli filamenti metallici che a mo’ di gomitolo vanno a riempire la bolla dal suo interno. In questo modo si esclude la bolla dal circolo e non riempendosi più di sangue, essa non subirà più le pulsazioni pretorie contro la sua parete e il vaso sarà riparato.
La scelta fra una procedura chirurgica tramite craniotomia con riparazione, clippaggio, dall’esterno, o la procedura endovascolare, dipende sia dalla conformazione specifica dell’aneurisma che da altri fattori che vanno presi in considerazione in una discussione congiunta fra il chirurgo e il neuroradiologo, operatore che esegue solitamente la procedura endovascolare.
Le malformazioni artero-venose, incluse le fistole, si basano sul concetto che il circolo arterioso viene messo in comunicazione inappropriata con quello venoso e che si verifica comunque una pressione inadeguata all’interno di una vena, cosa che può condurre alla rottura della vena con conseguente sanguinamento. Il trattamento di queste malformazioni, che possono essere più o meno grandi e più o meno profonde all’interno del cervello, prevede uno studio accurato del sistema vascolare mediante angiografia e successivamente l’intervento chirurgico. Questo si svolge sempre tramite craniotomia, individuazione della lesione e la sua escissione, simile alla chirurgia per l’escissione di un tumore. Nel caso della fistola, occorre individuare il punto di fistola e dove il circolo ad alto flusso scarica nella vena, per interromperlo. Anche in queste lesioni la neuroradiologia interventistica ha un ruolo in quanto determinate malformazioni possono essere trattate tramite cateterismi, iniettando delle colle nella struttura vascolare malformata escludendola così dal circolo ed evitando un futuro sanguinamento. Oltre alla chirurgia e alla radiologica interventistica, può essere utilizzata anche la radiochirurgia per questo tipo di lesioni.
I cavernomi sono dilatazioni venose a basso flusso che, proprio in virtù di ciò, danno luogo generalmente a sanguinamenti meno drammatici, anzi, spesso si manifestano attraverso ripetuti piccoli sanguinamenti attorno alla malformazione che porta al suo ingrandimento. Una volta individuati, occorre decidere dove si trova la malformazione e operare una valutazione rischio-benefici,o per decidere se sia più rischioso togliere chirurgicamente la lesione oppure continuare a osservarla nel tempo. Nel caso in cui si decida per l’intervento chirurgico, la tecnica chirurgica è quella dell’escissione tramite craniotomia. La radiologia interventistica non svolge ruoli terapeutici in queste lesioni, mentre può essere impiegata la radiochirurgia.
Lobectomie e resezioni mirate nella chirurgia per l’epilessia
Si può trattare l’epilessia con un intervento chirurgico cerebrale?
La chirurgia svolge un ruolo importante nel trattamento delle epilessie farmacoresistenti, ovvero le epilessie che non rispondono o rispondono solo scarsamente alla terapia farmacologica.
L’epilessia affligge circa l’1% della popolazione in varia misura e solo il 60-70% di questi casi risulta trattabile con la farmacoterapia. La rimanente porzione di pazienti affetti da epilessia farmacoresistente è non solo spesso esposta a gravi pericoli di eventi traumatici (o addirittura di morte nel corso di un attacco epilettico), ma non è spesso neanche impiegabile in termini lavorativi, per una serie di ragioni evidenti. Questi pazienti potrebbero beneficiare di un intervento chirurgico, che in tanti casi può approdare alla guarigione o a una importante riduzione della gravità e frequenza delle crisi fino al 70-80%. É chiaro quanto grande sia la porzione di popolazione che potrebbe essere restituita a una vita normale e produttiva. La Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE) stima che in Italia dovrebbero essere effettuati fra i 7000 e gli 8000 interventi chirurgici ogni anno. Purtroppo la conoscenza di questa possibilità di trattamento rimane ancora poco diffusa e i centri che si occupano di questa chirurgia sono pochi, per cui al giorno d’oggi troppi pazienti non riescono a giungere all’attenzione chirurgica per risolvere il proprio problema.
I pazienti con epilessia farmacoresistente vengono sottoposti a una serie di indagini molto approfondite e particolari per identificare se le loro crisi partano da un’area ben delimitabile del cervello oppure no. Qualora la risposta sia affermativa, viene sviluppato un piano chirurgico per una resezione mirata.
La procedura vede come accesso iniziale al cervello la già illustrata craniotomia. Per la resezione della porzione cerebrale che dà luogo alle crisi viene, poi, impiegata una tecnica del tutto simile a quella per l’estirpazione dei tumori. La lobectomia temporale, con resezione del complesso amigdala-ippocampale, è una delle procedure più frequenti nella chirurgia dell’epilessia.
Craniotomie per la decompressione del nervo trigemino nelle nevralgie del trigemino
In cosa consiste l’intervento chirurgico per il trattamento della nevralgia del trigemino?
La classica nevralgia del trigemino risulta da un conflitto neurovascolare, ovvero da una condizione dove un piccolo vaso sanguigno all’interno della cavità cranica va a premere su un nervo, creando una lesione e un malfunzionamento dello stesso.
Nel caso della nevralgia del trigemino, il nervo interessato è appunto il nervo trigemino, nello specifico la sua branca sensitiva, nel sua tragitto dal tronco encefalico, dove origina, fino al ganglio, ovvero la stazione di smistamento dalla quale poi si trifora per fuoriuscire dal cranio e innervare il volto.
I vasi che entrano in conflitto con il nervo trigemino sono solitamente delle piccole arterie, più raramente possono essere anche delle vene.
L’intervento consiste in una piccola craniotomia dietro l’orecchio, attraverso la quale si accede alla cavità intracranica e si sviluppa un corridoio di accesso per raggiungere il nervo, scollando e separando cautamente le strutture vascolari e nervose che si incontrano lungo la strada. Trovandosi in uno spazio cosiddetto “cisternale”, ovvero fra il trono encefalico edil cranio, non occorre in questo intervento invadere o tagliare del tessuto cerebrale, e in ciò la chirurgia è simile a quella degli aneurismi cerebrali.
Una volta che si raggiunge il nervo trigemino, questo viene ispezionato e liberato lungo tutto il suo decorso e viene identificata la struttura vascolare che vi entra in conflitto. L’arteria, che solitamente causa la compressione, viene pertanto scollata dal nervo e posizionata in maniera tale che non possa più premere sul nervo. A tal fine viene generalmente interposto un cuscinetto di materiale inerte, come il teflon, per mantenere questa separazione.
La procedura chirurgica è ben fattibil,e con un margine di rischio basso e una probabilità di risoluzione del dolore di circa l’80%.
Craniotomie per la decompressione del nervo facciale per gli spasmi facciali
In cosa consiste l’intervento chirurgico per il trattamento della nevralgia del trigemino?
La chirurgia della risoluzione dei conflitti neurovascolari alla base dello spasmo facciale è del tutto simile a quella per la nevralgia del trigemino esposta sopra. L’unica differenza, oltre a qualche piccola considerazione tecnica, è che il nervo coinvolto e da liberare è il nervo facciale anziché il nervo trigemino, nervi che, tra l’altro, si trovano molto vicini nel loro decorso intracranico.