5.
Interventi di chirurgia complessa sulla colonna vertebrale
Approcci anteriori transaddominali alla colonna vertebrale lombare
Come già discusso nelle sezioni precedenti la chirurgia della colonna vertebrale lombare, e in genere anche dorsale, è prevalentemente con un approccio posteriore o “da dietro”.
La conformazione delle strutture nervose al livello della colonna lombare è, infatti, tale da permettere la risoluzione della maggior parte dei problemi attraverso una via posteriore, cosa che è diversa per la colonna cervicale.
In alcuni casi, però, può essere utile approcciare anche la colonna lombare per via anteriore.
Quando si ricorre alla chirurgia vertebrale lombare attraverso una via anteriore, con incisione sull’addome?
La scelta fra approccio anteriore e posteriore alla colonna lombare è generalmente molto specifica e dipende da vari fattori. In genere, l’approccio anteriore si esegue solo nei casi in cui occorre stabilizzare due o più vertebre. L’intervento in tal caso è una fusione intervertebrale lombare anteriore e viene identificato con la sigla “ALIF” , acronimo dall’inglese “Anterior Lumbar Interbody Fusion”. Nel corso di quest’intervento si giunge sulla faccia anteriore della colonna lombare spostando il contenuto della cavità addominale lateralmente per eseguire una rimozione completa del disco intervertebrale e sostituirlo con uno spaziatore che in un secondo momento faciliterà la fusione fra le due vertebre.
Il vantaggio di questa procedura è che lo spaziatore fra le due vertebre può essere molto ampio in quanto può essere inserito nello spazio discale senza dover passare attraverso il canale spinale, e quindi accanto ai nervi in esso contenuto, come nel caso della via posteriore o “PLIF”, acronimo sempre dall’inglese “Posteriore Lumbar Interbody Fusion”. In questa tecnica la dimensione degli spaziatori è infatti più piccola e talvolta ne vengono inseriti due nello spazio discale per garantire il livello di stabilità di appoggio massimo.
Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la stabilità ottenibile tramite un approccio posteriore è sufficiente lasciando il ricorso all’ALIF quindi per determinati casi specifici dove la massima stabilità di appoggio anteriore è cruciale o laddove la via posteriore è compromessa da precedenti interventi falliti per tale via.
Quali sono i rischi di un approccio anteriore alla colonna lombare come l’ALIF ?
L’ALIF, benché essendo un’intervento che comporta una invasione tessutale minima, viene comunque annoverato fra gli interventi di chirurgia complessa. É minivasivo in quanto l’unica vera e propria incisione tessutale è quella cutanea e della fascia muscolare addominale ma da li in poi il raggiungimento della colonna vertebrale viene ottenuto attraverso il semplice spostamento dei contenuti addominali. In questo rispetto è molto simile all’approccio anteriore alla colonna cervicale per via anteriore dove si giunge sulla colonna spostando gli organi del collo.
Il rischio che l’ALIF presenta però, rendendolo pertanto di natura complessa, è la possibilità di rottura di una delle vene maggiori che portano il sangue dalle gambe e dal bacino al cuore. Benché questo rischio sia molto basso e può generalmente essere controllato bene in mani esperte, la sua possibilità, pressoché assente per via posteriore, richiede una preparazione del chirurgo e dell’equipe operatoria molto specifica. Per il resto i rischi legati all’intervento sono quelli comuni di qualsiasi procedura chirurgica.
Cosa si intende per approccio anteriore alla colonna lombare con le sigle “XLIF” e “OLIF” ?
Le ultime tre lettere degli acronimi “LIF” comuni anche nella sigla ALIF, stanno per “Lumbar Interbody Fusion”, ovvero fusione intervertebrale lombare. Ciò che cambia è la prima lettera che specifica ulteriormente la via esatta per giungere sulla colonna. Nel caso dell’ALIF, come già visto sopra, l’incisione è sulla parte anteriore dell’addome per trovarsi la faccia anteriore della colonna direttamente di fronte. Nel caso del XLIF, la X sta per “eXtreme lateral” e significa che la colonna viene raggiunta lateralmente e quindi attraverso una incisione sul fianco del paziente. Nel caso dell’OLIF, invece, la O sta per “oblique” e significa che la colonna viene raggiunta in maniera tale da approcciarla sullo spigolo anterolaterale e cioè una via di mezzo fra ALIF ed XLIF.
Le specifiche e le scelte di ognuno di questi approcci dipende molto dal caso da operare e dalle rispettive necessità particolari e va discusso in maniera approfondita con il paziente.
Correzione di deformità vertebrali (scoliosi e cifosi) con riallineamento della colonna vertebrale
La chirurgia della scoliosi e della cifosi è una chirurgia di elevata complessità e invasività in quanto serve a correggere una deformazione della normale curvatura della colonna e/o bloccarne l’ulteriore deformazione. Con il termine “Scoliosi” si intende una deformazione della colonna sul piano frontale (vista dal davanti) mentre per “Cifosi” si intende il piegamento della colonna sul piano laterale e nello specifico un piegamento in avanti della colonna e del busto fino a una piegatura in avanti di tutto il corpo nei casi più gravi.
Ho una scoliosi, mi devo operare ? Come si opera una scoliosi o una cifosi delle colonna vertebrale ?
Considerando che nel caso delle scoliosi e cifosi si tratta di deformità della colonna vertebrale su più piani, la correzione di queste deformità richiedono una manipolazione di tutta la struttura della colonna che va oltre la semplice stabilizzazione.
Operare una deformità vertebrale richiede una pianificazione accurata per valutare quanti livelli vertebrali includere nella stabilizzazione. Un’errata pianificazione con l’inclusione di un numero insufficiente di vertebre può comportare una insufficiente manipolazione e quindi correzione della curvatura con residua deformità e future complicanze strutturali. D’alto canto, una eccessiva stabilizzazione può significare un eccessivo impedimento della libertà di movimento del paziente ed eccessivo carico sui segmenti vertebrali rimasti liberi.
Una volta eseguita la pianificazione si passa all’intervento operatorio che generalmente richiede una generosa esposizione delle strutture vertebrali da operare ed è quindi un intervento maggiore. Laddove si prevede una correzione importante della curvatura è inoltre indicato il monitoraggio della funzionalità dei nervi e del midollo spinale che potrebbero riportare sofferenze durante le manovre chirurgiche.
Per le deformità vertebrali maggiori è poi consigliabile la disponibilità di una terapia intensiva che, anche laddove magari non necessaria in prima battuta, è comunque disponibile qualora complicazioni come eccessiva perdita di sangue o problemi generali legati alla procedura dovessero complicare il decorso postoperatorio.
Considerando la vastità di quadri diversi di scoliosi e cifosi queste sono ovviamente solo delle considerazioni generiche e vanno viste poi nello specifico caso per caso.
Che rischi ci sono nella chirurgia della scoliosi o cifosi ?
Anche qui vale il discorso che dipende molto dal tipo di scoliosi.
La scoliosi è caratterizzata principalmente dalla gravità della sua curvatura e quindi dal numero di vertebre coinvolte nella curvatura e di conseguenza da operare. Oltre a questo conta molto il tipo di scoliosi nel senso se è una scoliosi adolescenziale in una paziente giovane (le più frequenti) per cause genetiche o ignote o una scoliosi dell’adulto che si manifesta in età avanzata come conseguenza dell’invecchiamento.
Le complicazioni e rischi di un intervento di scoliosi si distinguono generalmente in due gruppi: le complicazioni immediate, che si manifestano durante l’intervento o nell’immediata vicinanza, e le complicazioni tardive che si manifestano a distanza in un periodo che va da dopo la convalescenza fino a molti anni dopo.
Le complicazioni immediate sono quelle classiche legate a tutti gli interventi in genere e a interventi sulla colonna vertebrale in particolare e sono : Infezioni, sanguinamenti, perdite di funzioni neurologiche, fistole liquorali, problemi di guarigione di ferita, trombosi e embolie, per menzionare alcune delle più importanti.
Le complicazioni tardive, invece, sono quelle legate principalmente all’impianto eseguito e sono: rottura di una o più barre o di una o più viti, fratture vertebrali, ernie o scompensi al livello dei segmenti adiacenti a quelli operati, comparsa di dolore per scompenso al livello dei segmenti adiacenti, per menzionare le più importanti.
La probabilità di ognuna di queste complicazioni è da vedere in particolare da caso in caso.
Chirurgia decompressiva nella malformazione di Chiari
La malformazione di Chiari è localizzata alla base del cervello, laddove il cranio è attaccato alla colonna vertebrale e consiste in una compressione delle strutture nervose laddove il cervello da origine al midollo spinale. Esternamente la sede corrisponde con la nuca.
Ho una malformazione di Chiari , quando mi devo operare ?
La malformazione di Chiari si opera solo quando è sintomatica ed i sintomi sono tali da non essere più gestibili con i farmaci e causare una certa invalidità nelle attività quotidiane.
Questi sintomi sono principalmente dolori alla nuca e mal di testa ( il più comune e generalmente presente all’inizio della manifestazione sintomatica) fino ad arrivare a disturbi dell’equilibrio, difficoltà con l’udito o formicolii e debolezze muscolari. Un altro motivo per cui si decide generalmente di intervenire è quando coesiste una siringomielia con caratteristiche di espansione progressiva. Sarà lo specialista a decidere con il paziente, in base alla situazione specifica ed i sintomi, se e quando intervenire.
Come si svolge l’intervento di decompressione nella malformazione di Chiari ?
Se la sintomatologia è tale da richiedere un intervento chirurgico, l’operazione deve consistere in una decompressione delle strutture nervose alla base del cranio e la parte iniziale della colonna vertebrale, la cosiddetta giunzione cranio-cervicale.
L’intervento prevede il posizionamento del paziente prono, o a pancia in giù, con un taglio centrale e verticale in corrispondenza della nuca. Si separano quindi i tessuti e si giunge alla superficie ossea della parte inferiore e posteriore del cranio e la parte posteriore delle prime vertebre della colonna cervicale. A questo punto l’intervento consiste prevalentemente in una rimozione di una certa quota di osso dal cranio e, in genere, dalla prima vertebra cervicale, esponendo cosi la membrana che copre le strutture nervose sottostanti, la dura madre. Già cosi si ottiene una certa decompressione delle strutture nervose che però viene ulteriormente aumentata attraverso l’apertura della dura madre. A questo punto può essere associato o meno una plastica durale e l’intervento è concluso e si procede alla chiusura della ferita.
Il periodo postoperatorio è generalmente molto breve, qualche giorno di ricovero in tutto ed un collare cervicale non è normalmente necessario ma può essere messo se serve a far stare meglio il paziente. Indicazioni postoperatorie particolari non ci sono oltre all’evitare sforzi per circa 4-6 settimane.
Quali sono i rischi della decompressione nella malformazione di Chiari ?
In mani esperte la decompressione di Chiari può essere considerata un’operazione a rischio relativamente basso. Oltre ai soliti rischi chirurgici il rischio più grande in questa procedura è quello di non risolvere completamente tutti i sintomi per i quali si è scelto di eseguire l’intervento. Come descritto prima, la modalità di presentazione di una malformazione di Chiari sintomatica può essere molto eterogenea. A tal fine , considerando che solo molto raramente l’intervento si impone in tempi rapidi, conviene discutere bene con il chirurgo per stabilire con quale probabilità possono essere eliminati quali sintomi, anche in più incontri se necessario.
Chirurgia di stabilizzazione della giunzione cranio-cervicale
Cosa si intende per stabilizzazione cranio-cervicale ?
Con il termine “giunzione cranio-cervicale” si fa solitamente riferimento alla parte ossea che include la parte bassa del cranio e l’inizio della colonna vertebrale. In pratica è il punto dove il cranio si collega e si fissa alla colonna vertebrale. E’ una parte scheletrica molto particolare in quanto deve consentire alla testa non solo di rimanere attaccata in maniera solida al collo ma deve allo stesso tempo permettere alla testa di potersi muovere con il collo e sul collo per compiere la rotazione a destra e a sinistra della testa e per guardare in alto ed in basso. In linea di massima circa il 50% della rotazione della testa dipende dalla giunzione cranio-cervicale mentre il resto viene dato dal movimento della colonna cervicale, ovvero dal collo.
Quando si stabilizza la giunzione cranio-cervicale ?
Considerando la complessità di questa parte del corpo la decisione se e come stabilizzarla richiede particolare attenzione e conoscenza da parte del chirurgo.
La giunzione cranio-cervicale combina due caratteristiche, deve essere stabile al massimo e garantire allo stesso tempo un massimo di movimento. Se viene stabilizzata inutilmente priva il paziente di una buona parte di mobilità della testa inutilmente, mentre se non viene stabilizzata quando invece sarebbe necessario, viene messo a rischio il midollo spinale nella sua parte più alta, proprio laddove nasce e si immette nel canale spinale, con la possibilità di paralisi grave alle gambe e braccia.
Il chirurgo deve quindi avere familiarità specifica con questa zona e farà varie valutazioni per stabilire il grado di instabilità prima di valutare un eventuale intervento.
Che tipi di intervento ci sono per stabilizzare la giunzione cranio-cervicale ?
Come già discusso per gli altri distretti della colonna vertebrale, anche qui si può approcciare la zona sia dal davanti che da dietro. Anteriormente la giunzione cranio-cervicale può essere approcciata attraverso la bocca, la cosiddetta via “transorale”, in quanto si trova direttamente a ridosso del faringe. Si tratta di un intervento complesso in anestesia generale in cui, tenendo la bocca aperta con appositi divaricatori, si giunge sulla parte posteriore del faringe che viene inciso e scollato dalle strutture ossee della giunzione cranio-cervicale. Questo approccio si usa solo laddove vi è una compressione ossea del midollo spinale da parte di tumori o malformazioni che non possono essere approcciate diversamente. Grazie a recenti innovazioni di tecnica chirurgica, l’approccio transorale è diventato oggi meno frequente in quanto la maggior parte della problematiche possono essere risolte con un approccio posteriore.
Altri approcci anteriori passano attraverso un’incisione al collo, come nel caso dell’ernia discale cervicale, sono molto meno invasivi e prevedono sostanzialmente l’introduzione di viti per fissare delle instabilità che si sono create alla giunzione cranio-cervicale, solitamente a seguito di fratture.
La via posteriore, con un’incisione verticale mediana sulla nuca ed il paziente posizionato a pancia in giù (prono), è la via più frequente per intervenire sulla giunzione cranio-cervicale sia per decomprimere il midollo spinale in quel distretto, sia per stabilizzarlo mediante viti e barre laddove si sono create delle instabilità a seguito di fratture, tumori o malformazioni.
Quali sono i rischi di una stabilizzazione alla giunzione cranio-cervicale ?
I rischi dipendono fondamentalmente dalla via di approccio anteriore (transorale o meno) o posteriore. Trovandosi in questo distretto delle arterie importanti che si immettono nel cranio dopo essere risaliti lungo il collo (le arterie vertebrali) vi è un rischio particolare associato alla eventuale lesione di una di queste arterie nelle manovre di stabilizzazione della giunzione cranio-cervicale. Oltre a questo vi è la possibilità di lesione del midollo spinale che, essendo in questo punto proprio alla sua origine, darebbe una paralisi potenziale in tutti i distretti a valle. Per questi motivi gli intervento alla giunzione cranio-cervicale sono probabilmente i più delicati su tutta la colonna vertebrale. Va comunque detto che con l’ausilio degli strumenti appropriati ,sia per la pianificazione che per l’esecuzione dell’intervento, un chirurgo appropriatamente preparato riesce a mantenere questi rischi a un livello molto basso e del tutto accettabile laddove l’intervento sia necessario.
Chirurgia complessa per tumori della colonna vertebrale
Cosa implica un tumore alla colonna vertebrale ?
La valutazione chirurgica di un tumore della colonna vertebrale deve partire, prima di tutto, da un quesito fondamentale: sono a rischio le strutture nervose della colonna, ovvero il midollo spinale ed i nervi che da esso originano?
Una compromissione di queste strutture può portare alla perdita della funzionalità motoria, e non solo, fino alla paralisi di territori più o meno estesi in base alla localizzazione del danno. Mettere in salvo le strutture nervose è quindi priorità assoluta e viene raggiunta in due modi: eliminare una compressione diretta delle strutture nervose da parte del tumore laddove presente e garantire o ripristinare la stabilità e l’integrità strutturale della colonna. Un tumore che non comprime il midollo spinale ma ha invaso la struttura ossea della colonna può portare anch’esso a un danno neurologico attraverso un cedimento strutturale della colonna stessa e conseguente compressione e compromissione nervosa.
In cosa consiste la chirurgia complessa dei tumori della colonna vertebrale ?
Le finalità principali della chirurgia tumorale della colonna sono la decompressione e la stabilizzazione. A questi concetti, comuni alla maggior parte delle patologie vertebrali che necessitano la chirurgia, va però aggiunto il fattore della radicalità o “completezza” dell’estirpazione del tumore.
La maggior parte dei tumori vertebrali sono metastasi e quindi localizzazioni secondarie di tumori in altra sede. Fare una chirurgia radicale, nel senso di togliere tutto il tumore per intero, in questi casi spesso non solo non è possibile ma non è neanche necessario perchè siamo già di fronte a una malattia che si è diffusa. Ciò però non significa che l’intervento debba essere meno importante in quanto oggi tante forme di tumore che metastatizzano alla colonna vertebrale hanno un’ottima sopravvivenza per cui è importante garantire al paziente una soluzione che salvaguardi l’integrità strutturale della colonna il più a lungo possibile.
Trattandosi di metastasi l’adiacente matrice ossea spessa non è in condizioni ottimali e di questo va tenuto conto per garantire la robustezza e la tenuta dell’impianto spinale anche di fronte a una possibile progressione più o meno lenta della malattia. Per ottenere questo si ricorre pertanto a degli ausili che aumentano la stabilità dell’impianto come il cemento acrilico per stabilizzare i corpi vertebrali (vertebro- o cifoplastica) e talvolta per supplementare le viti (viti cementate) e pertanto migliorare la loro tenuta nel osso patologico o comunque fragile. Possono a tal fine essere impiegate dei veri e propri sostituti di uno o più corpi vertebrali in titanio, carbonio, ceramica o altro materiale sintetico, laddove la metastasi abbia eroso tutta la struttura della vertebra che va quindi asportata e ricostruita. Per tutti questi motivi la chirurgia delle metastasi vertebrali è spesso una chirurgia multilivello, ovvero, un intervento che richiede l’inclusione di diversi livelli vertebrali in quanto non riguarda solo i segmenti direttamente affetti dalla metastasi ma anche quelli adiacenti magari indeboliti e che vanno inclusi in maniera appropriata per garantire la stabilità dell’impianto.
Più complessa ancora della chirurgia delle metastasi vertebrali è la chirurgia dei tumori primari o primitivi dell’osso o della matrice discale della colonna vertebrale. In questi casi il tumore nasce al livello della colonna vertebrale, con, in base al tumore, un potenziale di diffusione ad altri organi. In questi casi è fondamentale il concetto di radicalità dell’escissione del tumore che generalmente deve essere rimosso “in blocco”, cioè senza infrangere i suoi limiti per non favorire una entrata in circolo e diffusione delle sue cellule. A tal fine è necessaria un’accurata pianificazione dei passaggi da compiere per prima separare la massa tumorale da tutte le strutture adiacenti e poi rimuoverla. Questo richiede spesso una chirurgia circonferenziale, ovvero una combinazione di approccio anteriori e posteriori alla colonna vertebrale in cui il chirurgo vertebrale viene affiancato da altri specialisti chirurgici come vascolari o generali per la complessità e la necessita di dover intervenire spesso su più organi coinvolti e adiacenti. I concetti per la ricostruzione della colonna sono poi sostanzialmente gli stessi già menzionati e comprendono in genere l’utilizzo di sostituti di corpo vertebrali e l’utilizzo di strumentazioni lunghe multisegmentarie.
Chirurgia complessa per tumori del midollo spinale e dei suoi annessi
- Oltre ai tumori che riguardano i dischi e l’osso della colonna vertebrale, quali altri tipi di tumore possono verificarsi in quella sede?
Oltre alla struttura portante ossea e discale delle colonna, possono insorgere tumori in tutte quelle strutture che riguardano il midollo spinale, ovvero la struttura nervosa, e il suo involucro, la dura madre.
I primi, quelli del tessuto nervoso, sono tumori intramidollari. Crescono all’interno del midollo portando gradualmente al suo rigonfiamento e alla compromissione della sua funzione. Possono essere operati e la rimozione più completa possibile senza aggiungere deficit neurologici è fondamentale ma non sempre possibile. Esistono poi i neurinomi, tumori che nascono dai nervi e generalmente assumono una conformazione tondeggiante, fino a occupare il canale vertebrale e comprimere le altre strutture nervose. Sono per lo più benigni e ben rimovibili con la chirurgica, che in genere è curativa.
Fra i tumori dell’involucro del midollo, ovvero la dura madre, il più frequente è il meningioma, che cresce a partire dalla dura madre, che avvolge il midollo, e tende così a gradualmente comprimere il midollo stesso, ingrandendosi. Si tratta anche in questo caso di tumore per lo più benigno e che può essere rimosso con la chirurgia, risultando generalmente nella guarigione se completamente rimosso, tranne nel caso delle forme aggressive che sono comunque rare.